Antibiotici, allevamenti ed animali: la sfida del secolo
L’antibiotico-resistenza negli allevamenti intensivi in Italia e nel Mondo

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la resistenza agli antibiotici è considerata una delle sfide future più importanti del nostro secolo.
L’utilizzo su larga scala degli antibiotici, spesso in modo incongruo e scorretto, ha portato come conseguenza degenerativa l’adattamento dei patogeni ai principi attivi, rendendo questi ultimi meno efficaci e, in un sempre maggior numero di casi, totalmente inutili. Nel caso in cui quindi un microrganismo infetti l’animale (o l’uomo, nei casi di zoonosi), la malattia infettiva che ne consegue sarà quindi più difficile da curare, raggiungendo più facilmente un esito fatale.
L’assunzione diretta non è l’unico modo con cui veniamo a contatto con gli effetti degli antibiotici. La dispersione nell’ambiente dei loro residui degli porta ad un ulteriore adattamento da parte dei batteri che abitano il suolo, l’acqua o la vegetazione, inducendo ulteriore resistenza. L’abuso degli antibiotici a scopo medico, veterinario ed anche zootecnico ha comportato l’immissione nella biosfera di centinaia di tonnellate di antimicrobici l’anno. Gli allevamenti intensivi sono nel mirino delle politiche sull’utilizzo degli antibiotici: l’ampio numero di animali tenuto al chiuso in ambienti riscaldati e spesso affollati costituisce un ambiente perfetto per il proliferare dei patogeni e soprattutto per una loro rapida diffusione fra gli individui. Ciò ha portato ad un utilizzo più ampio e spesso spregiudicato degli antibiotici su larga scala, a volte anche solo come misura preventiva. La carne di un animale trattato sistematicamente con gli antibiotici diviene vettore dei loro residui, e il fenomeno dell’antibiotico-residenza si propaga anche sull’ultimo consumatore, l’uomo.
La presenza continua degli antimicrobici fomenta un adattamento sistematico da parte dei patogeni, rendendo i primi inefficaci nei momenti di assoluta necessità.
I patogeni infatti, sviluppando una resistenza specifica al principio attivo corrispondente, riesumano il loro danno collaterale senza che ci sia una contromisura appropriata. Generando quindi malattie, epidemie, morte degli animali e tutte le conseguenze trasversali, quali i danni economici e sociali.
La storicità degli antibiotici
Le prime dimostrazioni, seppur indirette, che i microrganismi sono la causa delle malattie di uomini ed altri animali risalgono alla seconda metà del XIX secolo. Robert Koch, medico tedesco, diede un importante impulso alla ricerca microscopica riuscendo ad isolare il bacillo della tubercolosi nel 1882 e il vibrione del colera nel 1884. Secondo i suoi postulati, un determinato organismo è responsabile di una specifica malattia. Da allora, con l’aumento delle conoscenze sulle malattie di origine microbica, aumentarono anche i farmaci per la cura di queste malattie. La penicillina, scoperta accidentalmente nel 1929 dal medico scozzese Alexander Fleming, inaugurò l’era degli antibiotici. Con essi, iniziò un’importante rivoluzione terapeutica nella storia della medicina umana. La tubercolosi, malattia infettiva presente nella specie umana sin dall’antichità, ha subito un brusco rallentamento e una quasi totale estirpazione dal mondo industrializzato proprio grazie alla scoperta della streptomicina, il primo antibiotico efficace contro di essa. Da allora, sono state scoperte circa una ventina di classi antibiotiche specifiche per batteri e funghi.
Ma come funzionano gli antibiotici?
La parola deriva dal greco antì-biòs, letteralmente “contro la vita”. Si tratta infatti di un grande gruppo di molecole organiche con effetto anti-batterico: causano la morte o inibiscono la crescita dei batteri senza danneggiare eccessivamente altri organismi non batterici con cui vengono a contatto. Per l’esattezza, la migliore fonte di farmaci e principi attivi sono i metaboliti secondari prodotti da poche classi di microrganismi. Questi metaboliti hanno funzioni biologiche svariate, e spesso sono molecole-segnale, cioè coinvolte nella comunicazione.
Gli antibiotici sono divisi in classi poiché hanno grande varietà dal punto di vista chimico e strutturale, ma anche perché sono altamente selettivi verso uno specifico bersaglio (spettro d’azione ristretto se l’antibiotico è attivo su microbi specifici, spettro d’azione ampio quando la sua attività si esplica verso numerose specie batteriche). Gli antibiotici interferiscono con i processi essenziali del batterio che attaccano, attraverso denaturazione delle proteine, danno alla membrana cellulare oppure a inattivazione enzimatica irreversibile. La funzione battericida non è una loro caratteristica intrinseca, ma dipende dalla sensibilità del patogeno al farmaco. Per questo l’antibiotico-resistenza è un fenomeno di altissima gravità.
Non tutti i microrganismi sono patogeni
La maggior parte degli organismi viventi sulla Terra sono microrganismi. Non sono quantificabili (per farlo si parla di “biomassa microbica” che non tiene conto del numero effettivo di organismi ma del loro peso) e ce ne sono moltissime specie, molte delle quali ancora sconosciute. Sono dispersi in tutti gli ambienti e costituiti da molte classi di diversità. Ciò che li caratterizza è la membrana che separa l’individuo dall’ambiente esterno e il metabolismo che si svolge al suo interno. Ovunque ci sia vita ci sono i microrganismi, e spesso la loro presenza è indispensabile per gli tutti gli altri esseri viventi.
La diversità dei microrganismi, normalmente molto sottovalutata perché poco appetibile per i nostri occhi e il nostro senso estetico, si esprime attraverso una vasta gamma di meccanismi di adattamento. Ciò permette ai microrganismi di vivere in qualunque habitat: nel suolo, nei vulcani sui fondali marini, dentro le radici di una pianta, nella parete intestinale di un insetto. La loro scoperta è assai antecedente a quella degli antibiotici. Il primo a specularne l’esistenza fu Girolamo Fracastoro di Verona, nel 1546, che scrisse di forme viventi invisibili coinvolte nella trasmissione delle malattie. Fu con l’invenzione del microscopio e quindi con la nascita della microbiologia che i microrganismi vennero sistematicamente studiati.
Non tutti i microrganismi sono patogeni ma tutti i patogeni sono microrganismi. Possono essere virus (gli antibiotici non hanno effetto su di loro), procarioti (batteri) ed eucarioti.
I microrganismi patogeni sono quelli che instaurano una relazione dannosa con l’ospite con cui vengono a contatto, di fatto interferendone con i meccanismi fisiologici. L’istituirsi della malattia dipende dalla natura del patogeno e degli effetti specifici, ma anche da caratteristiche circostanziali, come lo stato di salute dell’ospite ed il numero dei microrganismi.
Come avviene la resistenza agli antibiotici?
Alcuni batteri hanno una tolleranza intrinseca dovuta alla presenza di capsule esterne di protezione, l’aggregazione in biofilm o più specificatamente l’assenza di recettori sulla membrana necessari per l’ingresso dell’antibiotico nella cellula. Altri ancora possiedono “pompe di efflusso” o sistemi metabolici che rispettivamente lo secernono o lo inattivano. La resistenza acquisita avviene per mutazione o per acquisizione di materiale genetico da ceppi resistenti. Il repertorio di geni per l’inattivazione enzimatica dell’antibiotico è molto vasto. La mutazione genetica è un processo evolutivo: una volta acquisita la sequenza nucleotidica che rende il patogeno resistente a un dato antibiotico, questo ceppo è in grado di crescere e riprodursi in presenza di concentrazioni di antibiotico che inibirebbero il patogeno non resistente. Si svolge quindi una selezione, che in poche generazioni di batteri è in grado di restituire ceppi patogeni altamente resistenti all’antibiotico, soprattutto se quest’ultimo viene somministrato senza criterio.
La situazione e le normative attuali
Gli antibiotici ad uso umano sono medicinali vendibili solo previa prescrizione medica e ricetta, in quanto altamente specifici verso la malattia infettiva sia per le modalità di assunzione terapeutiche. Non dovrebbero essere assunti nemmeno per malattie diverse ma con sintomi simili a quella della prescrizione. Lo stesso vale per gli antibiotici veterinari.
Gli antibiotici, oltre che per motivazioni terapeutiche, sono ampiamente usati come additivi nella dieta negli allevamenti intensivi per aumentare la produttività e per prevenire le malattie. Per un certo periodo di tempo anche per velocizzare la crescita degli animali. Oggi i promotori della crescita negli allevamenti sono vietati dalla direttiva 2004/28/CE dell’Unione Europea, in vigore in Italia dal 2006 (D. Lgs. 06/04/2006 n.193).
Sebbene questa pratica sia giustamente caduta in disuso, l’utilizzo degli antibiotici è continuo e spesso spregiudicato. Per questo, in Italia e in Europa, viene controllato da studi e prescrizioni elettroniche (raccolte nel portale ClassyFarm del Ministero della Salute) al fine di monitorare il quantitativo di antimicrobico prescritto e somministrato in zone differenti. Nonostante ciò, i rapporti sull’utilizzo dei medicinali e il monitoraggio delle malattie da parte dell’Ecdc (European Centre for Disease Prevention and Control) riportano un lento progresso nella riduzione degli antibiotici negli allevamenti.
Il contrasto all’antibiotico-resistenza, a causa delle problematiche che rappresenta, può essere quindi combattuto non solo da una normativa che regolarizza i consumi dei medicinali, ma soprattutto da una gestione ottimale degli allevamenti.
L’utilizzo per motivi non-terapeutici infatti comporta che venga somministrata una dose di antibiotico inferiore a quella prescritta dal veterinario e per un lungo periodo di tempo, generando le condizioni ideali per la selezione naturale dei patogeni.
Gli antibiotici infatti vengono spesso pensati come soluzioni sostitutive in contesti di igiene carente, scarso benessere animale e condizioni zootecniche inadeguate.

Danni socio-economici ed inquinamento ecologico
Le conseguenze provocate dall’antibiotico-resistenza sono sia di tipo sociale che economico. I batteri resistenti, soprattutto se provenienti da animali lungamente trattati e poi consumati nell’alimentazione umana, possono trasmettere il gene resistente ad altri patogeni, facendo insorgere malattie nell’uomo.
I prodotti alimentari che contengono residui di antibiotici oltre i livelli consentiti dalla legge possono essere respinti dalla filiera commerciale. Ciò riguarda soprattutto gli alimenti esportati dai paesi cosiddetti “in via di sviluppo”, le cui normative sui livelli di antibiotici nelle carni sono differenti rispetto a quelle del paese importatore e non vengono applicate nei mercati interni (Molento et al., 2011).
Anche uno stoccaggio e uno smaltimento non adeguati sono fattori fattivi del problema: le fluttuazioni di temperatura di una scorretta conservazione rendono l’antibiotico meno efficace, inficiandone i principi attivi, e la loro deposizione in discariche non idonee ne disperde i residui nell’ambiente.
Il danno ecologico derivante dalla dispersione di antibiotici o direttamente da batteri resistenti ad essi può avvenire anche con lo spargimento di stallatico contaminato ad uso di fertilizzante. Infatti, gli antibiotici si accumulano frequentemente nel letame degli animali, con concentrazioni variabili a seconda della specie e delle condizioni zootecniche dell’allevamento. La contaminazione con questi residui porta ad un ulteriore sviluppo di antibiotico-resistenza nei microrganismi presenti nel suolo, nell’acqua e nella vegetazione.
Problemi inesorabili
Nonostante le normative ed i controlli, alcune forme di contaminazione sussistono ineluttabilmente per via di caratteristiche di filiera. Il carry-over ne è un esempio. Si tratta di un fenomeno inevitabile quando più mangimi diversi, destinati ad animali con esigenze alimentari differenti, vengono preparati nello stesso macchinario. La preparazione di diverse miscele infatti, avviene all’interno dello stesso impianto.
Se uno di questi mangimi ha degli additivi al suo interno, i residui del materiale che rimangono all’interno dell’impianto finiscono inesorabilmente nel preparato successivo, involontariamente e accidentalmente. Questa contaminazione può succedere con diversi materiali, come farine e semi diversi la cui presenza viene poi riportata in una miscela che non dovrebbe contenerne. Il fenomeno è particolarmente grave se si tratta di antibiotici, i quali vengono quindi dispersi nell’ambiente ed aggiunti all’alimentazione di animali a cui non erano destinati, determinandone quindi un uso scorretto.
E nelle zone rurali del mondo?
La resistenza ai farmaci antimicrobici è una preoccupazione per la salute pubblica sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli sviluppati. Malattie infettive da noi considerati banali sono state debellate da tempo grazie alla scoperta degli antibiotici. Tuttavia ciò è vero soltanto per paesi altamente industrializzati, dove la produzione e la provvigione di farmaci viene implementata e distribuita. In molti paesi, la fascia più povera della popolazione non ha accesso a farmaci o ad antibiotici, e i livelli di mortalità per malattie infettive di origine batterica sono ancora molto alti. In questi contesti, l’abuso degli antibiotici, di cui ce n’è un numero limitato per motivi economici, è particolarmente critico. Quelli ad uso veterinario sono maggiormente diffusi negli allevamenti geograficamente poco distanti dai grandi centri urbani, dove è possibile accedere con più facilità a mezzi e strumenti sanitari. Tuttavia la consapevolezza sul loro giusto utilizzo è ancora molto limitata.
In Etiopia, il controllo governativo sui farmaci e sul loro uso razionale è ancora indietro. L’uso indiscriminato in ambito veterinario, unito alla scarsa preparazione sui rischi da parte delle autorità di controllo, accelera la dinamica dell’antibiotico-resistenza. Gli animali da macello, destinati sia al consumo interno sia all’esportazione in altri paesi, non vengono sottoposti ai test per rilevare la presenza di residui antibiotici, a discapito dei consumatori.
Gli antibiotici sono un bene prezioso. Prima della loro scoperta, malattie infettive ora considerate banali avevano molto spesso un esito fatale. Bisogna aumentare la consapevolezza sul loro utilizzo affinché possano essere ancora utili in futuro. Affinché ciò possa avvenire, la soluzione sta nell’aumentare la consapevolezza sul loro utilizzo e non nel tentare una guerra con i patogeni. Scriveva Bill Bryson in Breve storia di (quasi) tutto: “Poiché noi umani siamo creature abbastanza grandi ed intelligenti da produrre e usare antibiotici e disinfettanti, ci autoconvinciamo facilmente di aver relegato i batteri ai margini dell’esistenza: bè, non è così. I batteri non costruiscono città e non hanno una vita sociale molto interessante, questo è vero; ma quando il Sole esploderà, saranno ancora qui.”
Scrivi un commento