Qualcuno uccida quei tre topi

LA SVALUTATION DEL PARMIGIANO REGGIANO

parma reggioPer me è peggio delle patatine: datemi un pezzo di Parmigiano e sarà dimezzato, un pezzo tira l’altro. Parmigiano, sia ben chiaro. E’ qualcosa di spettacolare sentirlo sciogliere in bocca, leggermente saporito poi, tra i 24 e i 30 mesi, una libidine. Il tosone, poi…non ne parliamo, a volte ne mangio talmente tanto che poi per settimane non e voglio più nemmeno vedere l’ombra; ma il tosone di adesso non è più quello di qualche anno fa. “Si sono accorti che è formaggio anche quello!” mi ha detto una volta il casaro da cui di solito mi rifornisco. Da bambina ricordo che i caseifici avevano addirittura centinaia di maiali a cui dare gli scarti del formaggio, adesso? Nemmeno l’ombra. Ne dei maiali, ne degli scarti. Il tosone che mangiamo adesso è semplicemente formaggio fresco, non più quella rifinitura di forma, che ancora odorava di latte. Ricordi a parte (e acquolina in bocca), veniamo ai topi. Se pensate ai cartoni della Warner Bros o ai topolini di Cenerentola siete fuori strada; se immaginate parli dei topini di campagna ancor peggio. I topi di cui desidero l’immediata uccisione sono quelli del Parma Reggio: li avete sentiti parlare? Ma noi di Parma, mica parliamo così, oh! Sono tremendamente fuori zona, piuttosto direi che andrebbero bene in una pubblicità dei tortellini bolognesi, parlano con lo stesso accento che ha Bruno Barbieri in Masterchef. Sarà che sono una stimatrice del Parmigiano originale, ma anche il formaggio dei tre topi lascia un po’ a desiderare… ben si dica sul prezzo, sulla stagionatura e sul fatto che la famigliola di topi lo adora, ma il Parmigiano è il Parmigiano: non c’è storia.

Del resto su un’industria così florida e produttiva, come quella del Parmigiano Reggiano, non possono non esserci le imitazioni. Il problema inizia a sorgere quando queste sorpassano l’originale nei mercati mondiali. La presenza dei similgrana, secondo un’indagine della Coldiretti Emilia Romagna, ha aumentato le importazioni in Italia del 38,7% negli ultimi due anni; passando nel giro di sei anni dalle 14.429 tonnellate alle 26.635 del 2014. Il disciplinare impone che il confezionamento del Parmigiano Reggiano deve avvenire solo all’interno della zona d’ordine, in modo da garantire controlli e tutele a favore del consumatore: il rischio principale è quello che – in particolare nel formaggio grattuggiato – vengano aggiunti formaggi a pasta dura che con il Parmigiano non hanno nulla a che vedere. Nonostante tutto non ci sono reazioni dal Consorzio del Parmigiano, solo la Coldiretti sembra muoversi in difesa della tutela del nostro formaggio: “Il calo dei consumi e il crollo dei prezzi stanno falcidiando i redditi degli allevatori da oltre un anno – ha detto il presidente di Coldiretti Emilia Romagna, Mauro Tonello – ma in tutta questa situazione il consorzio del Parmigiano Reggiano sembra ostaggio di una gestione personalistica, concentrata a difendere poltrone e interessi di piccolo cabotaggio, con i massimi dirigenti che restano barricati nella loro torre d’avorio mentre fuori la situazione delle aziende si aggrava”. Sono, inoltre, stati messi in vendita i kit per falsificare i più famosi formaggi italiani: miracolosi miscugli di pillole e polveri, prodotti in Europa, Stati Uniti e Australia, che possono essere acquistati tramite internet. Le confezioni contengono colini, garze, termometri, piccole presse e garantiscono la produzione di prodotti caseari che sono una chiara contraffazione dei nostri più rinomati formaggi, simboli del Made in Italy. Trecentomila posti di lavoro in meno, in Italia, per colpa della contraffazione: Coldiretti lancia l’allarme; è ora di interrogarsi su quanto sta succedendo, anche all’interno del Consorzio del Parmigiano, che lascia che tutto ciò accada. Spesso il falso è più diffuso del vero e condiziona le aspettative dei consumatori in modo negativo: pensate ai nomi come Parmesan, Parmesao (Brasile), Regianito (Argentina) .

Nel frattempo una stalla su quattro chiude dall’inizio della crisi. “Il Consorzio – continua nel suo intervento il presidente di Coldiretti – non può continuare a giocare al ‘mercante in fiera’, dedicandosi ad estemporanee e rischiose attività commerciali, che vanno a pesare sempre nelle tasche dei produttori, e abbandonando ad altri il ruolo di tutela e valorizzazione del prodotto.” Oggi il consumatore conosce più marche private che il Parmigiano Reggiano: per salvare il settore occorre un nuovo programma di governance del Consorzio, che non può ne tirarsi indietro ne nascondersi.  Abbiamo una delle più grandi marche del Made in Italy e non sappiamo sfruttarla nel modo corretto: correre ai ripari, subito.

di Chiara Corradi

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