Il caso Yara Gambirasio su Netflix

Un caso complesso che oggi, nonostante la condanna di Bossetti, è ancora pieno di zone oscure e che forse avrebbe meritato in questo docu film uno studio più dettagliato

L’omicidio di Yara Gambirasio è un caso di cronaca nera, che ha visto come vittima una ragazzina di soli 13 anni, scomparsa il 26 novembre 2010 a Brembate di Sopra e ritrovata assassinata il 26 febbraio 2011.

Erano le 17.30 quando Yara è uscita di casa per andare in palestra, sebbene quel giorno non avesse allenamento, ma dovesse solo consegnare uno stereo. Inizia così il film Yara uscito il 18 ottobre 2021 e successivamente reso disponibile su Netflix dal 5 novembre dello stesso anno. Solo cinquecento metri separavano la casa di Yara dalla palestra in cui faceva ginnastica ritmica, in cui era ormai considerata da tutti una piccola campionessa a livello amatoriale. Un film prodotto da Taodue e Netflix e firmato dall’autore Marco Tullio Giordana (La meglio gioventù, I cento passi, Romanzo di una strage), il cui obiettivo principale è stato quello di ripercorrere la storia di Yara, arrivando a una conclusione dopo cinque anni di indagini serratissime e false piste.

Fonte: ilgiornale.it

La verità? Tra piste sbagliate e falsi indizi

Quel venerdì fu Yara a recarsi in palestra per consegnare lo stereo. Arrivò per le 17.30 e rimase a guardare l’allenamento delle ginnaste più piccole circa un’ora, e tra le 18.40 e le 18.45 lasciò il luogo. I tabulati telefonici dimostrano che alle 18.44 aveva risposto al messaggio di un’amica, e circa undici minuti dopo il cellulare si era collegato per l’ultima volta alla rete. La madre la chiamò verso le 19.11 non vedendola tornare, ma il telefonò risultò staccato, così decise di avvertire il marito. Alle 20.30 verrà denunciata la scomparsa di Yara ai carabinieri, e da quel momento tutte le forze dell’ordine inizieranno la ricerca perlustrando tutta la zona.

Dopo esattamente tre mesi sarà ritrovato per caso il corpo della ragazzina in un campo di Chignolo d’Isola da un aeromodellista. I giudici della Corte d’Assise di Bergamo e della Corte d’Appello di Brescia avevano dichiarato: “Non è possibile stabilire con precisione la causa della morte, ma tenuto conto delle lesioni riscontrate, è possibile ipotizzare che la morte sia stata concausata dalle lesioni da taglio […] e da uno stato di ipotermia” (qui per approfondire).

Fonte: theguardian.com

Gli esperti, dopo una serie di studi, a partire dal contenuto gastrico di Yara, sono riusciti a definire il giorno e l’orario in cui la ragazzina sarebbe morta: probabilmente verso le 22.00 assumendo come ultimo pasto quello delle 14.00, oppure tra le 21.00 e le 01.00, nel caso in cui avesse fatto merenda lo stesso giorno in cui è scomparsa. Per quanto riguarda il luogo in cui è stato ritrovato il corpo, è lo stesso in cui l’assassino le ha tolto la vita.

Su una salvietta sporca di sangue ritrovata a 100 metri dal corpo di Yara, venne individuato un profilo genetico maschile, invece sui guanti di lei ne venne individuato un altro maschile e uno femminile. I profili vennero confrontati con 5.700 campioni salivari raccolti dalla Polizia di Stato e con quelli studiati dal Ris di Parma, senza dare nessun risultato. Una falsa pista fu il ritrovamento del Dna dell’istruttrice Silvia Brena, sulla manica del giubbotto indossato da Yara. Si inizierà a parlare di Ignoto 1 a partire dal Dna estrapolato dagli slip della ragazzina. Al fine di identificare la persona a cui potesse appartenere quel Dna, vennero sottoposti i dipendenti e i fornitori delle quattro ditte vicine, ma anche 3.400 frequentatori del centro sportivo di Brembate, e tutte le persone che potevano aver avuto un contatto con lei, senza dimenticare i clienti abituali della discoteca Le Sabbie Mobili. Una novità era arrivata a luglio 2011, quando è stato prelevato il tampone salivare di un certo Damiano Guerinoni, tesserato della discoteca, sebbene il giorno in cui scomparve Yara non era in Italia ma in Perù. Venne ritrovato anche l’aplotipo Y, che sembrava coincidere con l’ignoto anche se dopo ulteriori approfondimenti si capì che non si stava parlando dell’ignoto, e nemmeno di una parentela diretta. Si indagò nell’albero genealogico arrivando a Giuseppe Guerinoni, autista di Autobus di Gorno morto però nel 1999. Il genetista Emiliano Giardina dell’Università di Tor Vergata aveva confermato che il Dna ritrovato sul corpo di Yara appartenesse a un figlio illegittimo. La probabilità che Giuseppe Guerinoni fosse il padre di Ignoto 1 era del 99,99999987%.

Vennero condotte altre indagini al fine di risalire all’Ignoto 1, partendo dalla potenziale madre del colpevole. Una donna che poteva aver frequentato Giuseppe Guerinoni era Ester Arzuffi, il cui Dna però corrispondeva per il 50%, puntando così le ricerche sui suoi due figli: Massimo Giuseppe e Fabio.

A giugno del 2014 dopo tante indagini è stato individuato l’assassino di Yara, Massimo Giuseppe Bossetti, il cui Dna corrispondeva perfettamente con quello di Ignoto 1. Come aveva spiegato la criminologa Anna Vagli, l’accusa nei confronti di Bossetti non è dovuta solo dal Dna, ma anche da altri elementi compromettenti: le stesse celle telefoniche, che avevano dimostrato la sua presenza in Zona, medesima cella a cui si agganciò il cellulare di Yara; le ricerche a carattere pedopornografico sul computer di Bossetti ma anche la presenza di calce e sfere metalliche ritrovate sul corpo della ragazzina, collegabili al lavoro svolto da lui.

Una tragedia che trovò fine il 25 febbraio del 2015, quando la procura chiuse le indagini ritenendo come unico colpevole Bossetti. Il 1 luglio 2016 la Corte d’Assise di Bergamo condannò Bossetti all’ergastolo per omicidio volontario, con l’aggravante di aver agito con crudeltà e della minorata difesa, in quanto Yara aveva solo 13 anni. Un particolare che era sfuggito fu il momento dell’arresto di Bossetti. Quando i carabinieri giunsero sul luogo del lavoro, Bossetti si mostrò alquanto preoccupato come se volesse scappare.

Roberto Zibetti nel ruolo di Massimo Bossetti nel film Yara su Netflix Fonte: ilgiornale.it

Negli anni a seguire, Bossetti e i suoi difensori hanno ribadito più volte la sua innocenza. Ciononostante, era stata effettuata anche una controprova: la famiglia Bossetti era stata sottoposta al test del Dna presso un laboratorio di Torino. Il test aveva dimostrato che il padre di Bossetti non era Giovanni Bossetti, come tutti credevano. Nel dicembre del 2019 i difensori di Bossetti avevano però chiesto alla Corte d’Assise di Bergamo di visionare ancora una volta i reperti, una nuova speranza secondo Claudio Salvegni, avvocato di Bossetti, pensando addirittura a una probabile revisione del processo. Non essendoci materiale sufficiente per ripetere le analisi, l’esame dei reperti è stato negato.

Perché (non) vedere questo film?

Non è solo il racconto di una sparizione e uccisione, diventato poi un caso mediatico, ma narra anche le indagini condotte dalla pm Letizia Ruggeri (Isabella Ragonese) che aveva un solo indizio: il dna dell’assassino sugli indumenti intimi della ragazzina. La prima parte del film si concentra sull’iter seguito dalla pm al fine di identificare Ignoto 1, nonostante gli scontri con la burocrazia, la stampa e con le forze dell’ordine. Nella seconda parte del film, si mostra il processo ai danni di Massimo Bossetti (Roberto Zibetti). Una ricerca che porterà a tante e diverse piste, addirittura alla scoperta di una paternità al di fuori del matrimonio, mai confessata dalla madre dell’assassino condannato poi all’ergastolo. Sarà definita l’indagine genetica di più grande rilevanza e dal costo più elevato mai fatta in Europa.

Questo film è un progetto di grande importanza, curato a livello di regia, delle ambientazioni, e inoltre ha la peculiarità di contare su un cast interamente italiano: Alessio Boni nel ruolo del colonnello Vitale, Isabella Ragonese nelle vesti del pm Letizia Ruggeri, e Chiara Bono nel ruolo della piccola Yara Gambirasio. A dieci anni dalla tragedia è uscito il film, che ha cercato di ricostruire completamente l’intera storia, anche per chi magari non l’avesse seguita del tutto. Un film ricco di immagini di repertorio, che analizza tutte le fasi e le false piste, come l’errore di traduzione dell’intercettazione di Mohammed Fikri.

Chiara Bono nel ruolo di Yara Gambirasio nel film Yara su Netflix Fonte: repubblica.it

Un dettaglio, che non viene citato nel film, è il ritrovamento del Dna di Silvia Brena, istruttrice di palestra di Yara. La pm interroga Brena senza però ricordare che sono state ritrovate le sue tracce sul soprabito della ragazzina. Ancora più interessante è che la famiglia di Yara non è stata interpellata dalla produzione per la realizzazione del film, se non verso la fine delle riprese.

In un’intervista, Claudio Salvagni, il legale di Bossetti ha criticato il film di Giordana: “Non ho visto il film su Yara perché ritengo che non sia fedele alla narrazione dei fatti, nonostante il regista sostenga di aver consultato gli atti” (qui il link all’articolo completo).

Un caso così complesso, che ancora oggi è ricco di zone oscure, avrebbe meritato probabilmente uno studio più dettagliato. Sono stati saltati molti passaggi, come il dettaglio del Dna di Brena citato precedentemente. Anche se è stato identificato un colpevole, Bossetti non ha rinunciato recentemente a puntare il dito contro la pm Letizia Ruggeri (qui per approfondire), che aveva all’epoca ordinato lo spostamento delle 54 provette contenenti la traccia biologica mista della vittima e del carnefice dall’ospedale San Raffaele di Milano all’ufficio Corpi di reato del tribunale di Bergamo. Secondo i difensori di Bosetti, questa procedura avrebbe danneggiato il Dna, vanificando ogni tentativo di analisi, e da qui la denuncia: “I campioni biologici dovevano essere conservati al freddo per evitarne lo scongelamento e il conseguente deterioramento”. Per questo Bossetti chiede al gip di Venezia di indagare Letizia Ruggeri, per frode processuale e distruzione dolosa dei reperti. Accuse che potrebbero riaprire il caso.

Per chi fosse interessato a un’altra storia di cronaca nera, può leggere qui la recensione alla docu-serie Vatican Girl: La scomparsa di Emanuela Orlandi.

di Patricia Iori

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