La colpa è sempre di Napoleone

IL GIANDUIOTTO COMPIE 150 ANNI

Se da una parte il governo di Napoleone in Italia ha portato alla ‘rapina’ di molti pregiati tesori culturali, Gioconda docet, che hanno preso il volo oltralpe senza che nemmeno ce ne accorgessimo, dall’altra ha anche portato enormi benefici. Quali? Uno su tutti, il Gianduiotto. Come faremmo senza il buonissimo cioccolatino torinese? Certo, non vale la Gioconda, però ha la sua importanza, non solo dal punto di vista del palato – il che non è da trascurare – ma anche da quello culturale: si pensi ad neodadaista Mondino che alla fine degli anni novanta usava i gianduiotti come tessere di mosaico per le sue composizioni; persino Andy Warhol dichiarò che amava Torino per i gianduiotti e Topolino gli ha reso omaggio qualche anno fa pubblicando la storia di Papermicca, creatore del celebre cioccolatino.

gianduiottoMa torniamo all’imperatore francese: a causa del blocco delle importazioni del regno napoleonico, le quantità di cacao che giungevano in Europa iniziarono a ridursi in modo significativo e le poche risorse che potevano essere disponibili avevano prezzi esorbitanti. Il cioccolato, però aveva già da allora il suo fascino e mentre la materia prima scarseggiava, le richieste aumentavano. Il pasticciere francese Prochet pensò allora di sostituire una parte consistente di cacao con un prodotto presente sul territorio piemontese, la nocciola tonda gentile delle Langhe, nei pressi di Cuneo. E proprio la fragranza e il profumo delle nocciole piemontesi diventeranno le caratteristiche principali dell’aroma e della squisitezza del gianduiotto. La data di nascita è il 1852 quando i rinomati pasticcieri della ditta Caffarel iniziarono la produzione, seguendo le indicazioni di Prochet. Nel 1865 il cioccolatino era chiamato “Givù”, ma ben presto il nome divenne quello attuale: l’origine del nome si deve alla maschera di Torino, Gianduja, simbolo della lotta per la libertà e l’indipendenza. 150 anni e non sentirli, questa volta la frase calza a pennello.

La ricetta del gianduiotto è rimasta invariata in 150 anni: cacao, nocciole e zucchero. Il trucco per una buona riuscita sta sopratutto nel procedimento produttivo dell’estrusione che solo poche aziende, ancora tutt’oggi, vantano. L’estrusione consiste nell’utilizzare una macchina che trasforma il processo manuale del pasticciere in un gesto meccanico: la partenza è un impasto con il 30% di nocciole che viene passata ad una temperatura di circa 27 gradi in sei colatrici e poi direttamente sul tappetino di produzione. La classica forma a barchetta rovesciata viene garantita da due piccole “coltelle” meccaniche che di chiudono dopo la colatura. Inizialmente e fino a pochi anni fa, il gianduiotto veniva tagliato a mano, per dare quella particolare forma. Per conservare la sua cremosi il gianduiotto è avvolto in leggeri fogli di alluminio dorato, con uno stile sempre elegante e moderno.

Una storia antica, una tradizione che si rinnova nel tempo.

di Chiara Corradi

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