I ragazzi di Via Plebiscito

L'EDUCAZIONE DEI GIOVANI AD OPERA DELL'ASSOCIAZIONE CAPPUCCINI

“L’inferno dei viventi […] l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”

–        Italo Calvino da “Le città invisibili”.

Attraverso un incontro esplicativo con l’associazione ‘Cappuccini’, che da anni si occupa dell’omonima sezione del quartiere San Cristoforo di Catania e dei suoi bambini, è emerso il fenomeno della delinquenza giovanile e i suoi effetti sul panorama urbano catanese.

via plebiscitoIn via Plebiscito 599, presso la ‘casa della signora Pina’ (così chiamata con affetto dall’associazione), c’è la sede d’incontro dei volontari. Dal cuore del quartiere è facile constatare la condizione precaria in cui versano gran parte delle famiglie.

I volontari, ogni martedì e venerdì, svolgono un’attività di doposcuola, oltre ad offrire momenti ricreativi per i bambini. Responsabile dell’associazione è la professoressa Biondi, coadiuvata dai membri Salvo Lussi, Giovanni Tedeschi e Sandra Longhitano. Il colloquio ha dato modo di conoscere l’associazione, il contesto in cui è nata, i suoi obiettivi, l’importanza dei volontari e il valore degli aiuti esterni.

L’associazione Cappuccini ha un fine: dare spazio a ciò che “non è inferno” nel quartiere fatiscente di San Cristoforo.

L’iniziativa nasce circa 25 anni fa su ‘richiesta’ di un’alunna del liceo classico Nicola Spedalieri, residente del quartiere Cappuccini, che sceglie con coraggio di chiedere aiuto. La sua domanda viene accolta dalla professoressa di religione, Graziella Biondi. Il risultato fu la creazione di un angolo di bene in un luogo in cui sembrava non potesse esserci altro che male.

L’associazione si è nel tempo allargata coinvolgendo un numero sempre maggiore di famiglie e volontari, “reclutati” soprattutto grazie al “passaparola”. Il progetto è tutto votato ai bambini e il quartiere d’interesse rimane tuttora quello dei Cappuccini, dato che l’aiuto, pressoché inesistente, delle istituzioni impedisce di estendersi maggiormente sul territorio.

Il lavoro dei volontari richiede una dedizione costante. “Offrire amicizia, offrire un rapporto”, questa le parole scelte da Giovanni Tedeschi, rappresentante dell’associazione, per definire il compito più importante di un volontario. Sono i gesti, e non le parole che contano per queste famiglie, e in particolare per i bambini.

I fondi non rappresentano una preoccupazione per l’iniziativa. “Il denaro– spiega la professoressa Biondi- è l’ultimo dei nostri problemi.” Lo spazio è messo a disposizione dalla Diocesi e appartiene alla Curia, le spese essenziali della struttura sono quindi coperte dalle autorità ecclesiastiche locali. I costi dei progetti per i bambini e le loro famiglie derivano dalle iniziative interne dell’associazione (raccolte fondi, tornei di calcetto, serate di beneficienza) o dall’aiuto di benefattori e dei contribuenti del 5 per mille. Nel tempo, inoltre, si sono interessate all’associazione anche banche e compagnie di vario genere che hanno elargito finanziamenti a supporto dell’iniziativa.

maxresdefaultL’intento ultimo dell’associazione è essenzialmente uno: l’educazione. “Educazione che – secondo la professoressa Biondi- non riguarda solo i bambini, ma coinvolge anche i genitori e le istituzioni.” Il proposito è quello di dare ai bambini la possibilità di scegliere un modello di vita alternativo a quello che hanno attorno. Scegliere di creare una realtà migliore, un quartiere diverso. Per questi bambini la scelta, infatti, non è un diritto scontato. La maggior parte di loro vive in una famiglia sui generis, è spesso testimone o vittima di violenza ed è introdotto in un sistema delinquenziale dal quale non possono sottrarsi. Le situazioni più difficili richiedono l’intervento dei servizi sociali o di psicologi/psichiatri, l’associazione si cura quindi di creare una rete di collaborazione che possa supportare realtà di questo tipo.

Costruire un rapporto non è, però, sempre facile. Due sono i presupposti fondamentali di relazione affinché si ottenga un approccio positivo delle famiglie: il rispetto della libertà dell’altro e la gratuità del gesto, elementi esenti nella logica affaristica dominante della popolazione catanese.

Durante l’intervista sì torna sul tema dell’educazione ed emerge come nessun genitore del quartiere abbia a cuore l’educazione dei propri figli. Per molti di loro è meglio una scuola scadente, ma vicina, piuttosto che una scuola migliore poco più lontana. Il sistema del trasporto pubblico non concerne alcun tragitto che possa agevolare queste famiglie. Risulta allora necessario far partire il bisogno e la voglia di educazione direttamente dai bambini, che non sono, però, sempre disposti a ricevere il bene offertogli.

Le storie di bambini come Omar, Patrick, Giorgia e tanti altri dimostrano come, nonostante l’impegno dei volontari, chi sceglie di non accettare aiuto finisca spesso con l’abbandonare la scuola, entrando poi in ambienti malavitosi o, a volte, in prigione.

“Sono sempre giovani, sono sempre poveri, hanno sempre voglia di riscatto e di identità”, questa la descrizione che il magistrato Sebastiano Ardita propone per i giovani dei quartieri più degradati della città che si trovano a guardare dall’esterno la “Catania bene”, sperando invano di potervisi inserire. Se non coltivati e indirizzati sulla giusta via, i desideri dei bambini rischiano di trasformarsi in un’arma letale che toglierà loro ogni possibilità di riscatto.

L’associazione Cappuccini continua le proprie attività, per i ragazzi e con i ragazzi con la certezza che “la questione minorile è il punto di partenza per comprendere la mafia catanese”.

 

di Vittoria Fonzo

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