15 giovani registi e 4 storie di cinema documentario in scena all’Edison

L'ASSESSORE GUERRA: "IL DISTRETTO DEL CINEMA PARADIGMA DI SINERGIA PER PRODURRE CULTURA"

Documentari corso cinema Giovedì 1 febbraio un’inattesa folla ha riempito la sala del cinema Edison di Parma, in Largo 8 marzo. Neppure il più ottimista degli organizzatori si sarebbe forse aspettato di vedere gente seduta ovunque, sulle scale, per terra, persino disposta a stare in piedi per assistere alla proiezione dei lavori finali degli studenti del corso di alta formazione in ‘Cinema documentario e sperimentale’ appena concluso.

‘La ragionevole follia’, ‘Un mondo altro’, ‘Io Pardeep’, ‘Cose’ sono i titoli dei cortometraggi, prodotti tra Parma e provincia, che, alla fine della prima edizione, permettono di fare un bilancio del corso promosso dalla Cineteca di Bologna e dall’Università di Parma (Capas) con il sostegno della Regione Emilia-Romagna e del Fondo Sociale Europeo, e con la collaborazione del Comune di Parma e di Solares Fondazione delle Arti.
Un “bilancio positivo” secondo Marco Bertozzi, supervisore artistico del progetto “Certo, i film sono solo il saggio finale e dietro c’è stato un lungo lavoro preparatorio, ma la qualità dei lavori è molto alta“. Per la prossima edizione – in programma da marzo 2018, sempre nei locali del Distretto del Cinema – aggiunge Bertozzi, si renderà necessario un test di ammissione data la quantità di iscrizioni.
L’assessore del Comune alla cultura Michele Guerra ha aperto la serata esprimendo ottimismo e soddisfazione per il futuro dei 15 studenti nel mondo dell’audiovisivo: “Non credevo che in pochi mesi si potesse arrivare a fare quattro documentari tutti di un livello di qualità veramente elevato. Questi ragazzi hanno dimostrato di avere idee, coraggio e di avere qualcosa da dire perché hanno scelto tutto loro. Hanno scelto le storie, le hanno inseguite e hanno esercitato uno sguardo che i loro professori hanno favorito e aiutato. È stato davvero qualcosa di emozionante.” Guerra ricorda inoltre come la sinergia tra varie realtà sia una componente fondamentale per produrre cultura: “Il cinema Edison è stato un appoggio reale per i ragazzi e l’Officina delle Arti Audiovisive, che è cresciuta mentre il corso proseguiva, è diventata non solo coinquilino dello spazio ma primo collaboratore degli studenti.”

Mario LanfranchiLA RAGIONEVOLE FOLLIA – È spettato a ‘La ragionevole follia’ aprire le danze. Il documentario, realizzato da Diego Bertolotti, Michela Benvegnù e Enrico Nanni, è un eclettico film sulla vita di Mario Lanfranchi, regista, collezionista d’arte e allevatore di cani e cavalli da corsa. “Il nostro lavoro – spiega Nanni – non riguarda solo il personaggio ma anche la costruzione della relazione che abbiamo instaurato con lui”. Durante la narrazione scene di vita quotidiana si accavallano a filmati d’epoca della Rai che riprendono alcune delle opere più famose di Lanfranchi, come gli esperimenti dei film in diretta e della lirica sul piccolo schermo. Mentre apre allo spettatore le porte della sua villa nei pressi di Lesignano de Bagni, il regista racconta vari aspetti della sua vita. Mostra le foto dei suoi genitori, le opere d’arte, il ricco mobilio e i trofei vinti dagli animali che alleva. Si dice interessato molto più all’esterno delle cose che non alla loro anima: “Sono un filosofo superficialista“. Dopotutto, come ricorda la sua musa e poi moglie Anna Moffo dallo schermo televisivo, “l’attore è un assoluto mentitore e la magia del cinema è rendere credibile la finzione”. Così, a tratti, alcuni dei suoi ricordi diventano pezzi teatrali, recitati da attori che lui stesso dirige, come se la sua vita fosse un palcoscenico senza fine. Questo susseguirsi di materiali e piani narrativi diversi rende l’opera quasi caotica e semiseria, proprio come il suo protagonista, che afferma: “Cerco di fare le cose meno serie possibili. Sono l’unico caso di un uomo mantenuto da un cane”.
Come ha sottolineato Nicola Tasso, docente del corso, trovare il ritmo giusto, che rispecchi la storia narrata, è parte fondamentale del lavoro del documentarista. E, aggiunge: “Sono contento di vedere che i ragazzi siano riusciti nell’intento di realizzare opere che assomigliano ai loro soggetti”.

locandina documentarioUN MONDO ALTRO – Il secondo documentario, infatti, ha portato gli spettatori lontano dalle atmosfere barocche e giocose di casa Lanfranchi. ‘Un mondo altro’ di Andrea Alberici, Elisa Caccioni, Matteo Fornari, Carlotta Marchesini, Mathias Mocci e Noemi Verrina, ha un ritmo molto più serrato, scandito dalla voce frenetica di Donatella di Marco, direttrice di palco del Teatro Regio. La si sente richiamare i cantanti sul palco, verificare che tutte le maestranze siano pronte, parlare con il direttore d’orchestra. Tutto ciò mentre non si ferma un attimo correndo da una parte all’altra del teatro. Tutto deve essere perfetto: “Per me il palcoscenico è come una chiesa – spiega la sua voce fuori campo -. Spesso arrivo a teatro quando ancora non c’è nessuno per spazzare il pavimento del palco, per prendermene cura”. Dal film emerge la dedizione di Donatella per il suo lavoro, a tratti ansiosa, a tratti amorevole: “Il teatro è come una valvola di sfogo: quando sono qua tutto il resto rimane fuori“. Nonostante la disponibilità di Donatella, i registi hanno avuto pochissimo tempo per girare le scene del film: “Abbiamo dovuto fare tutto in emergenza visti i tempi strettissimi del Festival Verdi e le poche possibilità di accedere al teatro. Questa è stata una delle difficoltà più grandi”, afferma Noemi Verrina. Un’annotazione va fatta, ma non certo ai registi: triste o quanto meno fuori moda sentire l’ennesima donna con una posizione professionale di grande responsabilità asserire di dover, ogni giorno, dimostrare ai colleghi uomini di essere altrettanto brava.

IO PARDEEP – Il terzo film proiettato, di Stefano Tedesco e Amedeo Cavalca, è una storia che parte dall’India ma arriva in Italia insieme al suo protagonista, una ventina di anni fa. Pardeep Singh, si trasferisce a Parma all’età di dieci anni, con la sua famiglia. Suo padre lavora in una stalla, munge le vacche il cui latte diverrà Parmigiano Reggiano e ben presto Pardeep segue le sue orme. Il giovane comincia anche a giocare a rugby, uno sport che gli cambia la vita. “A un certo punto – racconta il protagonista – andavo a scuola, facevo gli allenamenti e lavoravo. Ho deciso che dovevo mollare qualcosa e ho mollato la scuola”. A 18 anni va via di casa per provare a sognare qualcosa di diverso dal destino che sembrava già essere scritto per lui. Oggi ha una campagna, Elena, che è incinta. Il film segue gli ultimi mesi della gravidanza, tra le ecografie, il corso per neo genitori, il lavoro. Tutto è pervaso da un sottile senso di attesa. Davanti alla prospettiva di diventare padre, Pardeep si interroga sulle sue origini e anche se, come sostiene, “l’India non mi ha mai dato niente“, quella terra continua a far parte di lui e anche di sua figlia Gemma. Stefano Tedesco racconta come lui e Amedeo Cavalca siano entrati in contatto con Pardeep quasi per caso. Inizialmente volevano girare un film sulla comunità di indiani Sikh, i soli, ormai, a lavorare nei campi e nelle aziende agricole della zona: “Il nostro esercizio di cinema non ha riguardato tanto la tecnica di come organizzare un film quanto piuttosto il rapporto con le persone. Abbiamo imparato molto a rapportarci con le gente vera, conoscendola strada facendo. Il nostro obiettivo era raccontare una storia molto sincera che riguarda Parma ma in realtà tocca temi più universali come la nascita e il ricordo delle proprie radici culturali.”

COSE – A chiudere la serata è stato il documentario di Sara Pigozzo, Martina Rossetti, Enrico Del Gamba e Roberta Semeraro. Unico caso in cui il protagonista non era presente in sala, trovandosi a Ozzano Taro e senza possibilità di muoversi: si tratta del museo Guatelli. Attraverso la voce del suo fondatore Ettore Guatelli, presa in prestito dal film di Pietro Medioli ‘Il mondo che abbiamo perduto’, lo spettatore è guidato in una sorta di visita virtuale del museo. Sono quattro, secondo Guatelli, le categorie di persone che visitano il museo: i nostalgici, le persone distaccate, i sensibili e gli artisti. ‘Cose’ propone uno sguardo sui lavori degli artisti che durante la rassegna ‘Guatelli contemporaneo’ hanno animato le sale del museo e gli spazi circostanti, come la sfilata di Fabrizio Corbo o l’installazione di Mimì Enna nel cortile. Ma non solo. Come il museo è una raccolta di oggetti “che parlano delle persone che li hanno posseduti, parlano dell’uomo” come dice Guatelli, anche il documentario è una raccolta dei vari momenti di vita del museo, dalle visite delle scolaresche alla manutenzione degli addetti. Una testimonianza, organica e in divenire, di quanto le ‘cose’ raccolte da Guatelli continuino a parlare a chi, come diceva lui, “entra in comunione con loro”.

 

di Emma Bardiani

 

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