Aemilia, “Qui non c’è un’invasione della ‘Ndrangheta, c’è stato un invito”

IL PUNTPO A 2 ANNI DAL PROCESSO, “SE IN AULA NON C’E’ NESSUNO, VINCONO LORO”

All’incontro organizzato da Libera Emilia Romagna al Wopa di Parma in occasione della giornata del 21 marzo in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, esordisce così Paolo Bonacini, giornalista del Fatto Quotidiano.it. “Qui non c’è un’invasione della ‘Ndrangheta, c’è stato un invito”. L’appuntamento ha fatto il punto sul maxi-processo ‘Aemilia’ che vede alla sbarra vede 240 imputati di cui 54 tutt’ora sospettati di 416 bis: associazione a delinquere di stampo mafioso. Un processo da cui emerge un dato inequivocabile: la mafia al Nord c’è e in Emilia si è spartita le rive del Po per oltre dieci anni.

Ricostruiamo la vicenda fotogramma per fotogramma.

LA STORIA DEL PROCESSO – Partita nella notte del 28 gennaio 2015 con la prima folata di arresti (117), l’operazione Aemilia ha subito presto un ridimensionamento: 71 imputati hanno chiesto e ottenuto di essere giudicati con il rito abbreviato, che prevede di beneficiare di un terzo di sconto sulla pena. Il processo di primo grado chiuso il 22 aprile 2016, si è concluso con 58 condanne, 17 patteggiamenti e 12 assoluzioni. Tra questi imprenditori, politici e mafiosi di alto spicco, come Nicolino Sarcone, considerato dagli inquirenti il “promotore, dirigente ed organizzatore” della ‘Ndrangheta a Reggio Emilia, condannato a quindici anni in secondo grado per 416 bis.
“Si è prodotto – scrive nella sentenza il gup Zavaglia – un ambiente globale, fatto di cutresi ed emiliani, nel quale la modalità mafiosa viene ormai apprezzata in tutta la sua carica.”

Il processo di secondo grado ha di fatto confermato l’impianto accusatorio della Procura; i giudici d’appello hanno definito l’associazione stabile a Reggio Emilia come una “holding criminale di rilievo internazionale” che “sapeva operare sempre di più a 360 gradi, con una sorprendente abilità mimetica per meglio infiltrarsi nel tessuto economico imprenditoriale sano della regione”.
Viene ribaltata anche la posizione di Giuseppe Pagliani, ex consigliere comunale di Forza Italia a Reggio Emilia, assolto in primo grado ma condannato in appello a quattro anni per concorso esterno in associazione mafiosa poiché ritenuto, secondo i giudici, “un tassello essenziale per l’esecuzione del programma criminale del sodalizio operante in Emilia cui forniva effettivamente una cooperazione ben precisa, efficace e consapevole”.

I restanti 147 imputati, che non hanno richiesto il rito abbreviato, sono tutt’ora sotto processo a Reggio Emilia. I fatti emersi nel corso del dibattimento hanno dato l’avvio al processo Aemilia Bis, nel quale 25 imputati su 34 (sospettati essere membri della ‘Ndrangheta) hanno richiesto il rito abbreviato.

L’IMPERO CRIMINALE – “La mafia – ricorda Bonacini a margine dell’incontro – è arrivata in Emilia negli anni ’80 con i primi boss al soggiorno obbligato, tra cui Raffaele Dragone. Oggi, però, a Reggio Emilia ci sono oltre 34 ‘famiglie’ mafiose.” Come mai nasce un interesse così profondo per questa terra? La risposta emersa nell’incontro è univoca: qui la mafia è stata invitata e ha trovato un terreno fertile per costruire il proprio impero corrompendo il sistema imprenditoriale. “La ‘Ndrangheta non usa più le bombe per buttare fuori dal mercato le imprese concorrenti: oggi i mafiosi hanno il denaro sufficiente per comprare dalle altre aziende, i dipendenti e le tecnologie migliori – continua il giornalista del Fatto. Così la ‘Ndrangheta diventa sistemica nell’economia di un territorio.

Dobbiamo comprendere che la ‘Ndrangheta non è più coppola e lupara. C’è stata un’evoluzione. “In passato i Cutresi – ricorda Luca Ponzi, giornalista Rai inviato del Tg3 dell’Emilia Romagna – avevano un profilo criminale di bassissimo profilo: facevano scoppiare risse nei night della zona per poi costringere i titolari ad assumere un buttafuori affiliato al clan.”
Oggi le cose sono cambiate. La cosca Grande Aracri di Cutro siede nel ‘consiglio dei ministri’ della ‘Ndrangheta e dialoga con le istituzioni attraverso la massoneria deviata. Una nuova mafia che ha modificato il rapporto con la politica. “Se prima – prosegue Ponzi – era necessario conquistare l’amministrazione comunale per poter ottenere i permessi di costruire in una certa zona. Ora tutto ciò non serve più perché adesso gli affiliati vengono messi in lista ed eletti.
Un dato su tutti: Brescello è il primo comune dell’Emilia Romagna sciolto per infiltrazioni mafiose nel 2016.

L’IMPORTANZA DI ESSERCI – Il processo Aemilia si è rivelato uno scossone che ha svegliato una regione intera dallo stato di torpore in cui versava. All’inizio del processo, nel marzo 2016, i reati contestati comprendevano un arco temporale che andava dal 2004 al 2015. Oggi quest’arco di tempo è stato ampliato dal 1992 al 2018, a riprova del fatto che la ‘Ndrangheta in Emilia è una presenza forte e radicalizzata, attiva da oltre 25 anni, e non una semplice influenza esterna. “Questo processo chi riguarda? Riguarda i circa 240 imputati che sono alla sbarra? I 117 arrestati il 28 gennaio 2015? Riguarda quelli che sono già stati condannati nel rito abbreviato? – si chiede retoricamente Bonacini –  il processo Aemilia riguarda tutti noi”.

Per questo occorre “una presa di coscienza che coinvolga tutta la comunità”. Lo ribadiscono a più riprese gli ospiti dell’incontro tra cui Alessandro Tassi Carboni, presidente del Consiglio Comunale di Parma. Il modus operandi di stampo mafioso non è più un fenomeno relegato al Sud Italia ma una realtà concreta e influente anche nel Nord Italia. È un ‘Ndrangheta diversa. Comunica in modo diverso, ad esempio prende contatti con i giornalisti e rilascia dichiarazioni. Un elemento inconciliabile con la vecchia tradizione mafiosa. La cultura mafiosa ha però mantenuto un fil rouge che lega tutte le generazioni: “Si deve creare un clima di omertà e di assoggettamento”, ricorda Bonacini. L’arma di cui disponiamo in questa lotta all’oscurantismo mafioso è la nostra presenza: l’importanza di partecipare ed assistere alle udienze in tribunale. L’associazione ‘Libera’ si è impegnata attivamente in questo senso, portando in aula oltre 2700 ragazzi provenienti dalle scuole di Emilia-Romagna, Lombardia, Trentino e Marche. Nonostante questa iniziativa e molte altre, come ‘Svegliati Aemilia’ , permane il problema che interi comparti della società non presenzino alle udienze. “Popolo italiano all’interno del processo Aemilia io ne ho visto molto poco – lamenta Daniele Borghi, referente regionale di ‘Libera’- non ho visto il mondo economico, le istituzioni”. È importante esserci, che chi è dietro la sbarra veda che la comunità è attenta e vigile, conosce e discute. “Vorrebbe dire che hanno fatto del male, ma ce ne siamo accorti – continua Borghi – se in aula non c’è nessuno, vincono loro”.

 

di Paolo Scarrone e Mattia Fossati

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