La crisi politica e il Covid-19: urge un modello di democrazia ecologica

SAREMO IN GRADO DI PENSARE A NUOVI MODELLI ECONOMICI E POLITICI CHE SIANO SOSTENIBILI? IL DIBATTITO DI FRIDAY FOR FUTURE PARMA CON IL SOCIOLOGO MARCO DERIU

Come può la democrazia essere influenzata dall’emergenza sanitaria scoppiata con il Covid-19? Come può la crisi ambientale aver favorito la diffusione del virus? Il legame tra il Covid e l’inquinamento sono un aspetto su cui si è arrivati alla conferma. Ora urge ripensare a un nuovo modello di sviluppo e forse anche a un nuovo modello di fare politica. Di questo si è occupato l’incontro virtuale organizzato da Friday For Future Parma con il sociologo e professore dell’Università di Parma, Marco Deriu.

L’appuntamento, dal titolo Democrazia ecologica e Coronavirus, è stato fissato per lo scorso 14 aprile, in un pomeriggio come gli altri di quarantena.  Davide ed Elisa, due giovani rappresentanti del movimento per il clima, hanno intervistato il sociologo Deriu sul concetto di democrazia in rapporto alla tutela ambientale.

“Questo incontro è stato pensato per promuovere una maggiore partecipazione della popolazione ai processi decisionali. Il concetto di democrazia ecologica – spiega e introduce il discorso l’attivista Davide – è un pensiero che al giorno d’oggi parte e prende forma da un modello produttivo basato sui combustibili fossili. Il potere politico si è concentrato sempre più nelle industrie ed associazioni economiche, come banche e grandi aziende multinazionali, anche private. I centri di potere, tuttavia, si sono dovuti scontrare con l’emergenza Covid-19 che ci fa pensare ai paradigmi produttivi“.

I LIMITI DELLA DEMOCRAZIA LIBERALE – Come bisogna ripensare la nostra democrazia e quali sono i limiti della democrazia liberale? “Dobbiamo tenere conto del fatto che la democrazia politica ha una grossa correlazione con il sistema economico. – sostiene il sociologo Deriu – È chiaro che le questioni poste dai movimenti per il clima si interrogano anche sulla democrazia in maniera radicale. Dobbiamo chiederci se il modello democratico liberale è preparato per affrontare le sfide emerse nella crisi ecologica. Il dibattito oscilla”.

Tra chi sostiene che il problema sia il modello capitalistico, e chi invece afferma che cia il sistema a non essere strutturato per affronatare i tempi rapidi che il cambiamento climatico richiede, resta comunque il fatto che “il sistema democratico pone dei problemi di etica politica: – continua Deriu – dobbiamo chiederci se la nostra libertà, incentrata su scelte individuali, permetta di affrontare il tema del limite“.

Nella quotidianità di tutti, dei cittadini, c’è una forte dipendenza sui temi della crescita e quindi “non è così banale ripensare alle nostre abitudini. Vi è poi il sistema lavoro e i rapporti tra generazioni. Il tema del limite non riguarda solo la tutela degli ecosistemi, ma è anche una questione di rigenerazione delle prerogative democratiche“.

 

“La democrazia è adatta o meno? – si interroga il docente – Siamo capaci di rigenerare un modello di forme istituzionali e democratiche in grado di incorporare al proprio interno il tema della sostenibilità ambientale?”. Forse non ancora o non ne siamo realmente coscienti dell’emergenza di tale cambiamento necessario.

MANCA LA STORIA DEL DIBATTITO ECOLOGICO – Potrà mai essere in prima linea la tutela dell’ambiente rispetto ad altre lotte politiche? “La questione ecologica non è all’interno della nostra tradizione politico filosofica: – commenta Deriu – se comprate un qualsiasi testo di politica molto difficilmente trovate una riflessione sull’ambito ecologico, come in ambito giuridico e sociologico. Nelle scienze della politica questa riflessione è invece molto marginale. I dibattiti non hanno per ora scalfito la nostra tradizione filosofica. Il limite che la nostra tradizione democratica incontra è legato al fatto che la comunità politica non si è mai pensata come una comunità nell’ambiente”. Tuttavia, “non può esiste nessuna comunità al di fuori dell’ambiente”.

Tra gli ostacoli al cambiamento c’è quindi un “un problema di educazione. Dovremmo lavorare sulla cittadinanza ecologica, sviluppando un senso di responsabilità più ampio. La democrazia pensa molto al popolo solo come individui lasciando fuori tutti gli altri esseri viventi e l’ambiente stesso”. Una situazione che non può avere futuro,  “dovremmo invece ripensare alla comunità con un’idea di famiglia allargata. L’acqua pulita, l’aria pulita, il cibo sano devono diventare diritti di tutti. Dobbiamo cominciare a vedere gli ‘invisibili‘, gli esseri viventi non umani, con cui siamo in stretta connessione”.

Come introdurre gli ‘invisibili’, gli animali, in un nuovo modello di società? Si pone invitabilmente il problema  dei diritti e delle garanzie, ossia la realizzazione di un costituzionalismo ambientale.

LA PARTECIPAZIONE DEI GIOVANI – Le generazioni future devono inevitabilmente rientrare nei processi decisionali. Concetto forse superficialmente scontato, ossia pensare al futuro dei giovani, ma che fino ad oggi non ha visto reale applicazione nella politica. “Nei processi istituzionali i giovani dovrebbero avere più potere nelle decisioni che riguardano i decenni a venire, ma mancano veri rapporti intergenerazionali“.

Ma non tutto è perduto, “le istituzioni si possono ancora modificare e reinventare. – commenta Deriu – La democrazia come sistema rappresentativo ha dei limiti, non dobbiamo eliminarlo del tutto, ma possiamo introdurre una democrazia partecipativa con le istituzioni che ci permetterebbe di essere più coinvolti”. Questo vuol dire che l’attuale democrazia rappresentativa, così come è, “non è sufficiente: manca troppo la partecipazione dei cittadini”.

DEMOCRAZIA, AMBIENTE E COVID-19 – Essendo tutte le democrazie mondiali in crisi, si teme che la conversione ecologica sia più un costo che un investimento: l’emergenza sanitaria ha poi frenato tali processi democratici. Ha ancora senso parlare di democrazia diretta? “La democrazia diretta è un tentativo di sperimentare forme di co-pilotaggio, ma dal mio punto di vista – asserisce il sociologo – le forme di rappresentanza devono misurarsi con scelte condivise dai cittadini. Credo che sulle grandi opzioni valoriali etiche non si possa delegare, ma si richiede per forza la partecipazione attiva della popolazione”. La pandemia potrebbe finalmente generare una “transizione ecologica, legata alla trasformazione delle tecnologie. Se vogliamo imparare qualcosa da questa pandemia, dobbiamo ricordarci che quello che sta capitando non è un caso: c’è sicuramente un elemento di imponderabilità, ma vi sono condizioni ecologiche che hanno permesso il salto di specie e la diffusione del Covid-19“. Queste sono, per esempio, l’enorme aumento demografico, l’affollamento nelle metropoli, le deforestazioni. Molte specie animali e vegetali non hanno più il loro habitat e questo è un grave danno all’ecosistema mondiale. Il sistema su cui si fonda la società odierna è prettamente industriale: “Abbiamo un sistema agricolo industriale e l’industrializzazione nell’allevamento degli animali. Questo fa sì che ci sia un’evoluzione dei ceppi batterici molto più pericolosa”.

Influisce fortemente alla salute del pianeta e umana, inoltre, “la riduzione della biodiversità per cui batteri e virus sono portati a diffondersi. Le zoonosi, malattie infettive degli animali trasmissibili all’uomo, sono state favorite da tutti questi fattori. Queste malattie ci ricordano che non ci sono due mondi (la natura e l’uomo) ma un unico mondo in cui viviamo tutti assieme. Dovremmo trarre occasione da questa crisi per capire che il tema della vulnerabilità diventa un tema molto presente”.

La crisi dovuta al Coronavirus sembra portare in alcuni paesi, inoltre, a una restrizione degli spazi democratici. C’è il rischio che anche eventi climatici estremi possano favorire misure autoritarie? “Il rischio c’è, ci sono dei paesi che hanno intrapreso questa opzione e ci sono stati scienziati che hanno considerato la crisi climatica ecologica come una situazione di guerra per affidarci a delle élite che prendono delle decisioni per tutti. – conclude Deriu – La Cina ha trattato in maniera autoritaria l’emergenza pandemica. Come rispondere a questo pericolo? L’accesso all’informazione è un aspetto cruciale: per tutte le questioni legate all’ambiente ci deve essere trasparenza. Dal mio punto di vista, non c’è un’uscita dai problemi senza una democrazia ecologica. Non si deve però pensare ad una repubblica degli scienziati: un conto è conoscere i rischi, un conto è definire le priorità che ci portano al bene e che dobbiamo mettere al centro della politica. Una élite non può assumere scelte più giuste rispetto alla collettività. Tra il modello cinese e il modello americano, io sono più favorevole a un modello comunitario dove agenzie, enti, comitati cittadini e movimenti debbano avere un ruolo riconosciuto”.

Il professore suggerisce infine alcune letture per chi volesse approfondire il tema: “Eco democrazia” di Sergio Messina, “Democrazia ecologica” di Daniele Ungaro, “Dominio, natura e democrazia di Salvo Torre oltre ai libri delle eco femministe Silvia Federici e Mary Mellor.

di Nicolò Bertolini 

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