Giandujotto: ma il latte ci va o no?

Come il celebre cioccolatino ha causato una guerra di posizione

La rassegna Cioccolatò di Torino, fiera del cioccolato annuale attiva dal 2003, quest’anno si è conclusa lo scorso 5 Novembre.

Durante questa edizione Antonio Borra, il segretario del Comitato del Giandujotto di Torino IGP, ha reso pubblica, con sdegno, la proposta avanzata dall’azienda dolciaria Lindt & Sprungli: all’impasto del gianduiotto, dovrebbe essere aggiunta una percentuale di latte.
Inaccettabile.

Il famoso cioccolatino ha una sua precisa tradizione che, a detta del Comitato, non deve essere infranta: “le modifiche alla tradizione possono esserci, ma solo se si tratta di migliorie, non è questo il caso” ha dichiarato Borra, aggiungendo che sarebbe come “allungare il vino con l’acqua“.

Ma come nasce uno dei cioccolatini più famosi del mondo? Che voce in capitolo ha Lindt per voler modificare la ricetta? Cos’è il Comitato del Giandujotto?

Quella volta in cui Napoleone ispirò la Gianduja

Per comprendere l’origine del giandujotto è necessario partire dal 1806, quando Napoleone Bonaparte avvia il programma di Blocco Continentale per mettere a repentaglio l’economia inglese: tale piano si rivela fallimentare, ma non su tutti i fronti.

L’Imperatore infatti, con questa ordinanza, crea inavvertitamente una forte penuria di cacao, ormai utilizzato in Europa.
Per sopperire a questa mancanza tale prodotto viene mischiato, oltre che allo zucchero, ad una farina di nocciole che ne aumenti il volume: nasce l’impasto gianduja! Tuttavia non ha ancora questo nome, bisogna attendere il 1865.

Nel 1826 un grande appasionato di cioccolata, Pierre Paul Caffarel, decide di far diventare i propri sogni realtà: fonda l’azienda Caffarel a Torino.

Gli affari vanno bene, ma la vera svolta arriva solo nel 1845, quando l’aspirante cioccolatiere Michele Prochet, che aveva aperto il suo piccolo laboratorio dopo aver acquistato alcuni macchinari per produrre cioccolato, decide di intraprendere una collaborazione dando vita così alla Caffarel-Prochet : sarà in questa forma che l’azienda produrrà il mitico cioccolatino.

Pierre Paul Caffarel

Nel 1852, sperimentando, Prochet impasta sapientemente caco, zucchero e nocciola tritata finemente, prepara così il suo personale impasto gianduja.
Ma perchè si chiama così?

Durante il Carnevale di Torino del 1865, festa allora molto sentita anche tra le strade della città ed evento che riuniva un numero consistente di persone, Caffarel ebbe un’idea di marketing: distribuì i cioccolatini fatti con l’impasto del socio, e che allora si chiamavano “givo” (“mozzicone di sigaro” in piemontese) ai presenti.
Tuttavia lo fece regaladoli attraverso “Gian d’Ia duja” (“Giovanni del Boccale”), maschera piemontese che impersona il popolano di lingua arguta, gentiluomo e generoso, nonché simbolo di indipendenza e dal cappello a tricorno (forma alla quale forse si ispirano i cioccolatini) : ecco che i givo passano ad essere giandujotti e il loro impasto la gianduja!
Il prodotto permette all’azienda di entrare nella storia, con la nomina del 1867 a membro dell’Accademia Nazionale di Francia, mentre nel 1869 la Caffarel viene proclamata dal Re Vittorio Emanuele II Fornitore della Real Casa.

Una data importante da tenere a mente ai fini del dibattito sopracitato è il 1997: in quell’anno infatti gli ultimi proprietari Caffarel cedono l’azienda alla Lindt per la cifra di 100 miliardi di lire.

Il colosso dolciario Lindt & Sprungli

L’impresa non è sempre stata conosciuta come “Lindt”.
La sua storia infatti inizia nel 1845, quando David e il figlio Rudolf Sprungli producono la prima tavoletta di cioccolato solido della Svizzera, per poi apire ad Horgen la fabbrica “Schleifetobel” due anni più tardi.

David (a destra) e Rudolf (a sinistra)

Mentre padre e figlio gestiscono la fabbrica di cioccolato, nel 1879 il cioccolatiere Rodolphe Lindt produce per errore, lasciando troppo accesa la macchina per il concaggio (un processo di miscelatura), un impasto di una nuova consistenza, che chiama “chocolat fondant”.
Intanto David Sprungli apre una nuova fabbrica a Kilchberg e poi il figlio, nel 1899, acquista la fabbrica di Lindt per 1,5 milioni di franchi: ecco dunque che nasce la “Lindt & Sprungli“, l’azienda che conosciamo e che amiamo per i suoi prodotti.

A partire dal secondo dopoguerra Lindt si espande anche verso l’Italia : nel 1946 i fratelli Bulgheroni, produttori di caramelle dal 1909, incontrano Robert Sprungli e si convincono a convertire la loro fabbrica in una di cioccolato, di cui cominciano la produzione l’anno dopo sotto licenza di Lindt.
Tra il 1984 e il 1992 la Bulgheroni ha modo di espandersi con nuovi stabilimenti, e l’azienda viene poi inglobata nel 1993 nella Lindt, che quattro anni più tardi diventerà proprietaria anche di Caffarel, come già detto.

Ritorno al presente

Latte o no, i giandujotti continuano ad essere prodotti per un valore di circa 200 milioni di euro l’anno (come riporta Borra).

Il Comitato Giandujotto di Torino IGP nasce nel 2017 dalla collaborazioni di alcune univeristà, di alcuni colossi dolciari quali Ferrero, Venchi, Domori, Pastiglie Leone e di cioccolatieri come Guido Gobino, Guido Castagna, Giorgio e Bruna Peyrano.

Guido Castagna

Il suo obiettivo è di rendere unica la denominazione “Gianduiotto di Torino” : per essere chiamato tale il cioccolatino deve essere composto dal 30% al 45% di nocciola Piemonte IGP, dal 20% al 45% di zucchero e almeno dal 25% di cacao (ad oggi solitamente 28%) e chiaramente la produzione deve avvenire interamente in Piemonte.
Il fatto è che il processo di certificazione IGP è al momento in stallo per via di un “capriccio” della Lindt, che vorrebbe aggiungere tra gli ingredienti il latte, riducendo la percentuale di nocciola : ERESIA!
L’azienda giustifica il suo diritto di avere voce in capitolo poiché possiede l’impresa madre dei giandujotti, ma per il mastro cioccolatiere Guido Castagna questo non significa nulla: ha infatti dichiarato che l’impasto gianduja è di molto precedente alla creazione del primo giandujotto, sottolineando quindi quanto radicata ed immutabile sia la tradizione.
Inoltre sul sito ufficiale della Caffarel compaiono alcune ricette e base di gianduja, ma in nessuna di queste è presente il latte: altra prova a sostegno del Comitato.

Borra, al festival Cioccolatò, ha fatto sapere che questa non sarà una guerra-lampo, ma che sarà invece una diatriba che si protrarrà a lungo.

di Tommaso Sarti

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