Ttip, l’indicazione geografica salverà la qualità dei nostri prodotti tipici?

CONVEGNO INTERNAZIONALE SU COMMERCIO E SICUREZZA DEI BENI ALIMENTARI IN VISTA DI EXPO

Convegno What is at stake in the Ttip?Immettere i prodotti locali sul mercato globale attraverso “un modello utile alle nostre aziende, ma anche sostenibile equindi utile al nostro territorio, all’ambiente e ai consumatori”. E’ quanto emerso durante il convegno ‘Prodotti tipici e proprietà intellettuale: gli scenari degli accordi commerciali tra Europa e Usa‘ svoltosi il 14 e 15 aprile all’Università di Parma e organizzato dall’Associazione degli economisti agrari europei, in collaborazione con il Dipartimento di Economia dell’Ateneo.

Durante le due giornate ricercatori, studiosi ed esperti di tutto il mondo hanno dibattuto in inglese sul Ttip in relazione al commercio di beni agroalimentari di qualità. Parte da Parma, quindi, la prima discussione a livello europeo su questo possibile accordo commerciale, promossa dal docente di Economia agroalimentare Filippo Arfini in vista di Expo 2015. E proprio sull’evento mondiale che tra poco si svolgerà a Milano, si è concentrato il discorso di apertura dell’assessore comunale al commercio Cristiano Casa: “Gli eventi universitari dedicati a Expo non potevano che cominciare da Parma, cuore della Food Valley. I nostri prodotti tipici come il Parmigiano Reggiano, il prosciutto e il culatello sono di grande valore e qualità. La nostra speranza – ha proseguito Casa – è che i visitatori provenienti da tutto il mondo possano incontrare lo spirito di Parma visitando la città e la provincia e avvicinandosi al nostro settore agroalimentare”.

TTIP: DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA – L’acronimo sta per ‘Transatlantic trade and investment partnership‘. Si tratta di un accordo tra Usa e Unione Europea al fine di rimuovere le barriere commerciali tra gli Stati e rendere più semplice lo scambio di beni e servizi attraverso l’Atlantico. Ciò faciliterebbe, ovviamente, anche gli investimenti economici tra le aziende. Gli accordi vanno avanti già dagli anni novanta, ma “purtroppo non sappiamo con esattezza cosa è stato deciso, in quanto la trattativa, ancora in corso, non si svolge in piena trasparenza” afferma Maria Cecilia Mancini, docente di Economia delle filiere agroalimentari all’Università di Parma. “L’obiettivo dell’Unione Europea – prosegue – è quello di liberalizzare il commercio e di avere un facile accesso ai mercati esteri mantenendo la protezione dei nostri nomi geografici”, ma il problema è: l’Ue ha già raggiunto o raggiungerà mai il suo proposito? Il fatto che tutto avvenga a porte chiuse, lontano anche dagli occhi indiscreti dei media, appare poco democratico. E questa è una delle critiche sollevate in merito al possibile accordo.

Ad essa si aggiungono poi quelle relative alla qualità dei prodotti: si teme che importando alimenti dall’America, dove la legge, diversamente da quella europea, prevede che il bestiame venga allevato con ormoni ed antibiotici, si rischi di ridurre i requisiti di sicurezza alimentare vigenti nel vecchio continente. Se così fosse, l’accordo andrebbe a discapito dei consumatori e delle produzioni tipiche e a favore, invece, delle grandi multinazionali. Come illustra la professoressa Mancini, spesso è vantaggioso associare il nome di un prodotto tipico locale con un brand internazionale, ma altrettanto spesso questa strategia di export può rivelarsi negativa: il prodotto derivato, infatti, potrebbe trarne un beneficio maggiore rispetto a quello locale che rischia di perdere le sue caratteristiche e qualità. E’ il caso del Parmigiano Reggiano. Per aumentarne le vendite il marchio si è legato a grandi nomi come Barilla e McDonald’s e ha sperimentato nuove forme come gli snack e i pezzi. Il risultato, però, è che oggi sono più conosciuti i topini di Parmareggio del formaggio stesso, con le sue proprietà quali genuinità, digeribilità e naturalezza.

Non tutti, però, si schierano contro il Ttip: c’è anche chi lo vede come una grande opportunità per il nostro commercio. Il professor Filippo Arfini, sembra essere di questo avviso: “Personalmente mi occupo di prodotti tipici da quasi vent’anni e ho pensato che considerarli alla luce dei negoziati Ttip fosse interessante soprattutto perchè le nostre imprese, anziché guardare al mercato europeo, guardano a quello transatlantico. Purtroppo – aggiunge – in questi mercati ci sono molti conflitti legati ad un uso non corretto dei nomi e il Ttip si occupa di garantire una regolamentazione in questo senso”.

Intervento prof ManciniPROVENIENZA GEOGRAFICA E  WTP – Un altro dei temi più dibattuti nel corso del convegno è quello relativo all’indicazione geografica (Ig) nelle etichette dei prodotti e come questa influenzi i consumatori nella loro Wtp (Willingness to pay, cioè la disponibilità a pagare per un bene o un servizio). “Think global, consume local“. Così si potrebbe riassumere l’interessante intervento della professoressa Carolin Claudia Seitz dell’Università tecnica di Monaco, la quale dimostra, attraverso uno studio condotto in Germania nel 2014, come l’etnocentrismo giochi a favore dei prodotti tipici di un luogo. Le persone, infatti, tendono a sentirsi ‘coinvolte’ nella promozione dei prodotti della propria terra che diventano motivo di vanto della regione stessa, in un rapporto di promozione reciproca. La ricerca di Giovanna Sacchi, docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha poi mostrato come, nonostante i consumatori non comprendano a pieno i simboli degli alimenti Dop e Igp, si facciano fortemente influenzare, nell’acquisto, dalla provenienza geografica degli stessi.

L’indicazione geografica protetta (Igp) e la denominazione di origine protetta (Dop) sono due marchi attribuiti dall’Unione Europea a specifici alimenti per tutelarli sul mercato. In particolare l’Igp si riferisce a prodotti alimentari e agricoli  le cui qualità dipendono dall’origine geografica e la cui produzione e trasformazione avviene in una determinata area; il Dop, invece, ad alimenti le cui caratteristiche dipendono essenzialmente dal territorio in cui sono prodotti e quindi dal clima e dalle tecniche di produzione. “Attualmente – come spiega la professoressa Mancini – le indicazioni geografiche riescono a proteggere i prodotti tipici italiani all’interno dell’Ue perchè esiste un regolamento unitario che funziona, ma al di fuori dell’Europa, sul mercato globale, l’unico riferimento diventa il Wto (World trade organization)”. Il Ttip potrebbe quindi causare dei problemi da questo lato, ma l’accordo raggiunto con il Canada nel 2014, il Ceta, ha posto delle basi rassicuranti: grazie ad esso il prosciutto di Parma ha finalmente potuto entrare nel mercato canadese e convivere, attraverso l’indicazione del luogo di provenienza, con un altro prosciutto avente lo stesso nome ma prodotto in Canada.

MANGIARE ITALIANO – Quanto a etnocentrismo gastronomico, il Bel Paese è chiaramente un esempio forte. All’estero l’italiano soffre: vuole pasta, pizza e mozzarella, cerca il ristorante gestito da compaesani, si fa spedire prelibatezze da casa. Un luogo comune? Forse no. La buona cucina è radicata nell’anima della nazione e la mescolanza con produzioni dagli standard qualitativi diversi, Ogm e simili spaventa non poco sia produttori che consumatori. Le ricerche dimostrano non solo che la Wtp è legata alla provenienza, ma anche che la presenza di Ogm nella realizzazione di prodotti tipici andrebbe a discapito degli stessi. Non ci sono, tuttavia, informazioni a sufficienza su quel che sarà il futuro dopo l’approvazione del Trattato transatlantico.

di Paola Basanisi, Mariasilvia Como e Veronica Rafaniello

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*